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Gli alleati di Roma (dal latino Socii) cominciarono molto presto, nella storia di Roma repubblicana a giocare una parte rilevante nelle campagne annuali delle guerre su grande scala.
Essi erano obbligati a fornire contingenti di fanti pari a quelli dei legionari (per un totale di due legioni di 4.200/5.000 fanti ciascuna), e di cavalieri tre volte superiori (pari a 900 cavalieri).
Queste unità militari erano chiamate Alae, proprio perché erano poste alle “ali” dello schieramento romano.
Sappiamo, inoltre, sempre da Polibio, che se ai cavalieri romani erano date razioni mensili per sette medimni di orzo e due di grano (che il questore detraeva poi dallo stipendium), agli alleati (socii) invece erano dati gratuitamente un medimno ed un terzo di frumento e cinque di orzo al mese.
Schieramento in battaglia dell’esercito consolare polibiano nel III secolo a.C., con al centro le legioni e sui fianchi le Alae Sociorum (gli alleati italici), oltre alla cavalleria legionaria e alleata.
La grande capacità tattica di Annibale aveva messo in crisi l’esercito romano. Le sue manovre imprevedibili, repentine, affidate soprattutto alle ali di cavalleria cartaginese e numidica, avevano distrutto numerosi eserciti romani accorrenti, anche se superiori nel numero dei loro componenti, come era avvenuto soprattutto nella battaglia di Canne dove perirono 50.000 Romani.
Questo portò ad una rielaborazione della tattica legionaria, ma soprattutto all’impiego di contingenti di cavalleria di regni alleati, come avvenne con Scipione Africano nella battaglia di Zama del 202 a.C., dove l’esercito romano (unitamente a 4.000 cavalieri alleati numidi, comandati da Massinissa) riuscì a battere in modo definitivo le forze cartaginesi di Annibale.
A questi contingenti di cavalleria furono aggregati anche altre tipologie di combattenti dell’area mediterranea, i quali avevano sviluppato dei metodi di attacco particolari, come gli arcieri orientali o cretesi, i frombolieri delle isole Baleari (come successe anche durante la conquista della Gallia).
Del resto contro le agili tribù montane e contro le fanterie leggere, i legionari erano troppo lenti ed impacciati. L’esigenza del Romani di dotarsi di questi corpi specializzati e di questi metodi di combattimento divenne fondamentale soprattutto a partire dalle guerre puniche.
Non era sempre possibile ottenere le abilità richieste da parte del cerchio degli alleati accettati ed a volte divenne necessario assumere dei mercenari.
La riforma militare di Gaio Mario introdusse un nuovo concetto: tutte le forze straniere, qualunque fosse la loro condizione, divennero auxilia, ovvero truppe sussidiare ai cittadini legionari. Con estensione del dominio ed influenza di Roma su più popolazioni, essa fu in grado di richiedere truppe ai paesi conquistati e così aumentarono le varie specializzazioni delle truppe ausiliarie.
A maggior ragione in seguito alla guerra sociale degli anni 91-88 a.C., il fatto di aver conferito a tutte le popolazioni dell’Italia antica la cittadinanza romana, non fece altro che eliminare le cosiddette Alae di socii (costituite da fanti e cavalieri).
Fu, pertanto, una necessità crescente quella di impiegare formazioni di fanteria “leggera” e di cavalleria “ausiliaria” presa dagli stati clienti o alleati (fuori dai confini italici), tanto più che con la riforma di Gaio Mario gli equites legionis erano stati soppressi.
Non è un caso che Gaio Giulio Cesare, abbia a più riprese cominciato ad utilizzare contingenti di cavalieri di popolazioni alleate nel corso della conquista della Gallia. Reclutò tra le sue fila soprattutto Galli e Germani, inquadrando queste nuove unità sotto decurioni romani, con grado pari a quello dei centurioni legionari ed un praefectus equitum.
La stessa cosa avvenne anche nel corso della guerra civile che seguì tra Cesare e Pompeo degli anni 49-45 a.C.
In sostanza tutti gli ausiliari del tardo periodo Repubblicano eran arruolati di volta in volta, per la durata delle varie campagne, per mezzo di leve militari eseguite direttamente nei territori sottomessi a Roma, oppure venivano forniti in blocco dai capi delle tribù alleate (o “Clienti”). In questo secondo caso venivano retribuiti dai loro capi con paghe che non conosciamo, ma che certo erano molto inferiori a quelle dei legionari.
In battaglia il valore degli ausiliari era molto variabile e non sempre si poteva farvi affidamento. Le scariche delle loro frecce o i proiettili delle loro fionde furono utilizzati per coprire le avanzate della fanteria “pesante” legionaria o la “carica” della cavalleria.
In Britannia, ad esempio, servirono a coprire lo sbarco dei legionari di Cesare, mentre ad Uxellodunum (nel 51 a.C.) arcieri e frombolieri impedirono ai Galli assediati di rifornirsi d’acqua. Spesso gli ausiliari partecipavano a scaramucce e ad operazioni di pattuglia, oppure erano inviati in missioni di vettovagliamento, di saccheggio, di rappresaglia. In certi schieramenti rinforzavano gli effettivi delle legioni.
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foto copertina del valkhofmusuem.nl
[Redazione Giornalisti Equestri]