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L’esempio più antico di statua equestre giunto sino a noi, sia pure parzialmente conservata, è il cosiddetto Cavaliere di Rampin, statua greca di epoca arcaica (VI secolo a.C.), originariamente collocata sull’acropoli di Atene.
Non è chiaro chi sia il personaggio impersonato dal kouros a cavallo: secondo una prima tesi potrebbe trattarsi di uno dei due figli del tiranno Pisistrato (visto che lo studio di alcuni frammenti ha stabilito che le figure dei cavalieri dovevano essere due), altra ipotesi è che la statua rappresenti il vincitore di una corsa svolta durante i giochi pitici o i giochi nemei (per via della corona di quercia che porta sul capo).
Nell’arte romana il monumento equestre assume un’esplicita valenza eroica e propagandistica, celebrativa di un individuo reale e vivente. Caratteristiche che questo tema manterrà anche nelle epoche successive, dove proprio l’esempio romano – e in particolare il Marco Aurelio – sarà il termine di riferimento imprescindibile.
Le statue equestri dell’antica Roma, infatti, sono dedicate essenzialmente agli imperatori o a capi militari, allo scopo di enfatizzarne simbolicamente il ruolo di leader e di condottieri vittoriosi. Ne sono un esempio, probabilmente autocelebrativo, le due statue equestri di Marco Nonio Balbo padre e figlio rinvenute ad Ercolano, databili alla fine dell’età repubblicana.
Nell’altomedioevo è innalzata a Pavia una statua equestre per Teodorico il Grande, il Regisole. Le fonti tramandano anche la notizia di un monumento del medesimo soggetto in onore di Carlo Magno: probabilmente si tratta di una statua anch’essa originariamente dedicata a Teodorico, situata a Ravenna, e da Carlo fatta portare ad Aquisgrana affinché ne fossero modificate le sembianze. Entrambe le opere sono oggi perdute.
Al Louvre però si conserva un piccolo bronzo equestre che si ritiene raffiguri Carlo Magno (ma secondo altra ipotesi si tratterebbe di Carlo il Calvo), datato al IX-X secolo, che ci dà un’idea della ripresa altomedievale del tema.
Nei secoli successivi dell’età di mezzo la complicata tecnica della fusione del bronzo a cera persa venne progressivamente abbandonata, almeno per le opere di grandi dimensioni, ma si continuarono a fare monumenti equestri in altri materiali, come il marmo, la pietra, il legno.
L’arte tardogotica non ci ha lasciato monumenti equestri a sé stanti, ma ha usato questo tema nella composizione di più articolati monumenti funebri, talora imponenti. Esempio mirabile è costituito dalla grandiosa tomba di Ladislao di Durazzo, sita nella chiesa di San Giovanni a Carbonara a Napoli, realizzata tra il 1424 e il 1432 a coronamento della quale vi è per l’appunto una statua equestre del re angioino.
Il primo monumento equestre in bronzo, realizzato dopo quelli romani, fu quello eretto a Ferrara (ante 1451) dai fiorentini Niccolò Baroncelli e Antonio di Cristoforo e raffigurante Niccolò III d’Este. All’ideazione del progetto e alla scelta dei bozzetti contribuì anche Leon Battista Alberti. La statua però venne fusa a fine Settecento per esigenze belliche ed in suo loco figura oggi una replica moderna asseritamente fedele al monumento originario.
In epoca barocca il tema non è abbandonato. Si nota la commissione a Gian Lorenzo Bernini, genio indiscusso della scultura barocca, di un monumento equestre raffigurante Luigi XIV, re di Francia, da collocare nei giardini della reggia di Versailles. A Roma, nella Galleria Borghese, se ne conserva il bozzetto.
La statua non incontrò il gusto francese, teso in quell’epoca a conciliare lo stile barocco con i dettami del classicismo. Il monumento venne prima trasformato, mutandone il dedicatario in Marco Curzio (leggendario eroe romano), e poi collocato in un angolo nascosto dei giardini Versailles, dentro un’orangerie.
Uno degli episodi inaugurali della stagione neoclassica fu proprio la realizzazione di un monumento equestre. Si tratta della statua di Luigi XV realizzata da Edmé Bouchardon e collocata a Parigi nella attuale Place de la Concorde. La statua andò distrutta nei torbidi rivoluzionari. Ne esiste tuttavia una copia, in scala ridotta, di Jean-Baptiste Pigalle.
Quanto sopra, dopo aver osservato le varie statue (monumenti) vi sarete chiesti perché diversi dei cavalli hanno le loro zampe in posizioni differenti; ebbene lo abbiamo chiesto ad uno storico dell’arte, il quale ha fatto notare che non si tratta di una sciocchezza, ma ha sottolineato l’importanza del messaggio perché era per chi sapeva.
In pratica se il cavallo è impennato il cavaliere era morto in battaglia, ma se le quattro zampe erano piantate sull’intera superficie del monumento allora indicava che il cavaliere non era deceduto in battaglia, ma in altro modo. La zampa anteriore destra o sinistra significava che il cavaliere era morto a seguito di una grave ferita in battaglia.
Fonte Wikipedia
[Redazione Giornalisti Equestri]